Ebbene sì: la perdita del nostro animale può scatenare un dolore grandissimo. Alcune persone mi chiedono un aiuto ed iniziano un percorso di sostegno psicoterapeutico proprio a causa delle emozioni che li sommergono alla morte del loro pet, cui non erano preparati e la cui intensità li spaventa. Capita per i cani e per i gatti, ma non solo: pappagalli, furetti, conigli e criceti sono per moltissimi di noi un affetto autentico, li amano teneramente e sentono per loro un legame profondo. Perché questo accade? Perché stiamo così male? Ci sentiamo dire “ma è solo un cane”, dunque c’è qualcosa di sbagliato in noi se soffriamo a questo punto?

cane anziano Di fronte alla morte dell’animale viviamo sentimenti di vuoto e tristezza tipici del lutto ma abbiamo difficoltà a parlarne con amici e familiari perché ce ne vergogniamo oppure abbiamo sperimentato che non saremo capiti ma derisi o criticati. Il dolore può diventare fatica a riprendere le usuali attività o può innescare sentimenti depressivi intensi. Si vorrebbe adottare un nuovo animale ma si è bloccati dal senso di colpa nei confronti dell’amico appena scomparso. Alcuni genitori non sanno come comunicare l’evento ai loro bambini, che spesso vivono  per la prima volta l’esperienza della perdita e del lutto. L’angoscia e l’ansia lasciano confusi e spaventati perché  sono più intense e travolgenti di quanto potessimo immaginare: gli studi confermano che il lutto per un pet può essere avvertito in maniera più profonda di quello per un famigliare. Non si è malati o sbagliati a provare questo dolore: piuttosto esso è segno della perdita di un legame autentico e profondo, che ha innescato la reazione psicologica del lutto. Chi ci deride in maniera sciocca e superficiale dicendo che “era “solo” un animale” ignora il senso del rapporto che intrecciamo coi in nostri pet, a tutti gli effetti membri della nostra famiglia. Ed ignora che quella che stiamo vivendo con sofferenza è una condizione di lutto assimilabile a quella che si verifica quando muore una persona cara.

Perché scegliamo un cane? La radice di questa scelta  è per una massima parte irrazionale, il motivo razionale (“mi piacciono”, “così fa la guardia”, “perché lo vogliono i bambini”…) è l’epifenomeno della questione, ciò che giunge a coscienza, ma la motivazione è molto profonda, pesca in un altrove così intimo che nemmeno noi stessi conosciamo. Razionalmente decido di “prendere” un cane  per vari motivi logici e sensati, ma sempre e comunque alla fine lo scelgo  sulla base di un bisogno interno spesso inconscio: cioè per soddisfare un mio bisogno interiore, di cui, appunto, sono molto poco consapevole. Ogni pet, infatti, è “un rinforzo narcisistico”: un prolungamento del Sé, un oggetto (un oggetto interno, così definisce la psicoanalisi le rappresentazioni psichiche dei legami che costruiamo) che “serve” a rinforzare la nostra identità, la nostra autostima, la sicurezza interiore, a darci qualcosa che ci manca.  Lo scegliamo sulla base di una similarità con elementi della nostra personalità. Attraverso la sua cura in realtà curiamo parti di noi stessi, le esaltiamo, le rafforziamo. Il rapporto con l’animale realizza una sorta di “area transizionale”, fondamentalmente diversa dalle relazioni intraspecifiche che possiamo allacciare con i nostri simili. È profonda, fortemente connotata dalla fiducia,  si basa su un linguaggio non verbale e para-verbale, prevede una continua ed intensa comunicazione tattile, è spesso immediata, priva di elementi legati al giudizio, della paura del rifiuto e della sanzione, basata esclusivamente sul gioco e sulla coccola, sull’accettazione incondizionata. Da un punto di vista psichico, allora, è una relazione assimilabile a quella che il bambino intrattiene con i suoi giochi, anzi, con quei giochi che vengono eletti ad un ruolo e ad una funzione molto particolare e “nobile”, perché si connotano come “oggetti transizionali”. Fu proprio lo psicoanalista inglese Donald Winnicott a coniare i concetti di “oggetto transizionale” e di “spazio transizionale” ad indicare quegli oggetti e contesti che rivestono un significato molto delicato nella mente del bambino, perché gli permettono di affrontare ed imparare a gestire l’esperienza più terrifica ed angosciante: la separazione e l’allontanamento dalla madre, evento estremamente angosciante per ogni piccolo. Ma la solitudine e la paura dell’abbandono ci abitano per tutta la vita e l’animale ci aiuta a superarle, a tenerle a bada. Il pet è sempre con noi, è sempre disponibile al nostro affetto ed alla nostra attenzione: lo abbracciamo e lui è sempre disponibile a ricambiare il nostro amore. Con lui non ci sentiamo mai soli. Ci capisce al volo. A lui ci mostriamo per quello che siamo davverd34c6db26fe74cdf7f0dc4ca84f8d120o, siamo liberi di essere noi stessi senza paure e senza maschere. sappiamo che lui accetta tutto di noi e a lui non mentiamo mai. Lui non ci abbandonerà, di questo siamo certi, non ci sono litigi e non ci sono tradimenti. Un compagno di vita prezioso e perfetto, un legame che, in molti momenti e per molte persone, ci salva la vita. Un legame che solo la morte spezza. Come potremmo non disperarci?

La perdita è un grande dolore ma se pensiamo alla storia passata insieme, al bene condiviso, alla felicità della vita insieme sentiamo che ne è valsa la pena. Perché  niente e nessuno ci potrà togliere la felicità condivisa, nemmeno la morte.

Ci sono due elementi fondamentali da sapere circa il lutto, che ci possono aiutare per affrontare la morte del nostro animale: i riti di sepoltura e la narrazione sono strumenti di cui la psiche ha bisogno per compiere il lavoro di elaborazione del lutto. Poter seppellire o conservare le ceneri del proprio amico non umano, accompagnando l’evento con un nostro personale piccolo rito di commiato, ha un’importanza notevole da un punto di vista psicologico. E non ci deve importare se la società ha spesso un atteggiamento critico nei confronti di queste scelte. Oggi esistono diversi servizi funebri per gli animali da compagnia ed esistono anche cimiteri speciali. Può essere difficile confidare agli altri le emozioni e gli stati d’animo che si provano in questi momenti, per il timore di essere derisi o biasimati, e così ci si tiene tutto dentro, rinunciando ai benefici che il supporto sociale e il semplice atto di raccontarsi potrebbero offrire nell’elaborazione di questa esperienza. Talvolta il lutto, ovvero il segnale esterno della sofferenza, può essere cancellato o nascosto. Tuttavia, non è possibile cancellare il dolore interiore che inevitabilmente lo accompagna. La tendenza a nascondere il lutto può comprometterne l’elaborazione, che consiste in un lavoro di ristrutturazione delle proprie emozioni e dei propri pensieri necessario per accettare la perdita e il dolore a essa legato come parte della vita.

Secondo un pregiudizio diffuso, il lutto si supera da soli e la ricerca di sostegno psicologico è indice di debolezza o patologia. Soprattutto nella società odierna, la strategia alla quale si fa ricorso più spesso in queste situazioni è quella della distrazione, del non pensare, che incoraggia a spostare la propria attenzione dalle emozioni che si provano ad attività più concrete, nella speranza che il dolore scompaia. Spesso però questo atteggiamento non fa che prolungare il lutto, il cui superamento richiede il confronto con la sofferenza. Anche perché ogni lutto, anche quello di un pet, riattualizza le esperienze di perdita già attraversate: l’evento attuale trascina con sé tutti i lutti precedenti, ed è per questo che l’esperienza angosciante può essere particolarmente intensa e travolgente, quasi insostenibile. Il counseling psicologico può rappresentare uno spazio da dedicare a se stessi e alle proprie emozioni, nel quale si è guidati in un’attività di esplorazione del proprio stato d’animo, dei propri bisogni e dell’esperienza vissuta, al fine di scoprire strategie utili per ristabilire un nuovo equilibrio interiore. Non vergogniamoci né chiudiamoci in noi stessi: cerchiamo aiuto e conforto.

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Barbara Alessio
Psicologa, Psicoterapeuta, Psicodiagnosta, Master di II° livello in Bioetica è Responsabile del Servizio di Psicologia e Psicodiagnosi della Casa di Cura per malattie neuropsichiatriche “Villa di Salute” di Trofarello (TO). Riceve in studio privato a Torino.
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