• “Solo il tocco, il rimedio, la parola possono davvero guarire” Ippocrate, v sec a.c.  

Se sei un clinico devi avere consapevolezza dell’impatto che le tue parole, atteggiamenti e reazioni hanno sul sistema psicofisico del tuo paziente. Devi sapere in cosa primariamente risiede il tuo potere terapeutico. Devi conoscere che regola finemente l’interazione fra gli organismi, qual è la psicologia della cura, qual è il “peso” che le emozioni degli interlocutori e le parole usate nello scambio hanno nei destini di salute e malattia. Hai studiato molto per fronteggiare le malattie: ma non basta per essere un ottimo medico. Che cosa serve per affrontare la malattia? Dove riposa il segreto della capacità di “cura” di un medico? Che cosa vuol dire “curare”? La medicina, le Medicine, che cosa si propongono di guarire? E come? Con quali strumenti? Che cosa passa nella relazione tra il medico e il suo paziente? Nel delicato e complesso setting della medicina veterinaria, che cosa attraversa mente-cuore-spirito del gruppo famiglia nell’interazione con il vet? Sai persuadere un paziente/cliente alle terapie ed alla riabilitazione? sai fronteggiare la sua ansia, la sua paura? Sai gestire la rabbia, la diffidenza, la squalifica senza entrare in simmetria o franare nell’umiliazione? sai contenere le richieste eccessive? Sai su cosa fare leva per motivare o dissuadere’ Conosci il potere immenso dell’intenzione? Raramente i percorsi formativi si preoccupano di un’evidenza che la scienza, a differenza delle tradizioni sapienziali e delle pratiche antiche, fatica ad integrare: è la relazione il primo strumento di cura. Sono le emozioni, le intenzioni, le capacità ematiche a supportare un lucido processo diagnostico, a sostenere una valida alleanza terapeutica, a risvegliare le energie della guarigione. Il cuore, le parole che ne veicolano l’energia e la relazione che grazie ad esse si intreccia con il paziente sono il più potente mezzo terapeutico di cui l’essere umano può disporre. E’ il cervello emotivo a guidare la trasformazione e la cura: o meglio, la connessione tra i cervelli emotivi di medico e paziente, così come le neuroscienze hanno evidenziato grazie a tecniche di hyperscanning che permettono di analizzare simultaneamente l’attività cerebrale di due o più individui mentre si relazionano fra di loro. E’ una comunicazione spontanea e non verbale bidirezionale fra i due emisferi destri, una sincronizzazione interencefalica, che registra la configurazione affettiva dell’interlocutore, una sorta di “wireless affettivo”, grazie al quale il clinico può cogliere lo stato emotivo dell’altro e regolarlo. E’ LA QUALITA’ DELLA RELAZIONE A DETERMINARE L’EFFICACIA DELL’INTERVENTO. A tras-formare l’altro.

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Le medicine  si affidano all’ottimismo del progresso tecnologico, alla razionalità della tecnica, concentrandosi unicamente su quella dimensione: ma se non sposta l’attenzione a vissuti e stati d’animo, ampiezza e portata delle emozioni degli attori in gioco il suo intervento può risultare monco, addirittura inutile. Perché è il paziente che deve essere addestrato ad occuparsi di sé nella maniera giusta  ed attivare una atteggiamento di fiduciosa responsabilizzazione persuadendosi che quel percorso terapeutico sia utile ed efficace. E’ il cliente a creare i maggiori problemi negli ambulatori e nelle cliniche veterinarie. Sono le sue emozioni, spesso esagerate ed incongrue agli occhi dei medici.  La psicologia del paziente/cliente non può essere ignorata dal medico. Per capire cosa dire e come dirlo, come essere davvero utile deve comprenderne le dinamiche interne, quelle più inconsce ed irrazionali: perché sono quelle a muovere motivazioni ed azioni. A costituire la radice di comportamenti a volte imprevedibili, scatenati dal dolore, dall’angoscia, dalla rabbia, dalla sfiducia o dallo scetticismo. Non basta, però. Il quadro, di per sé già ricco ed affascinante, si complessifica per l’entrata in gioco delle percezioni, degli stati d’animo e della personalità del medico, dalla sua originale Weltanschaung, se preferiamo.

Il pensiero scientifico e il modello biomedico riduzionista, positivista, razionalista ci consegnano corpi parcellizzati, aggregati di parti e di ingranaggi e si focalizza sulla risoluzione del sintomo. Eppure non esistono “organi” a sé stanti e, a ben guardare, nemmeno “individui” ovvero creature isolate: la dimensione del vivente è sociale e reticolare. La dimensione del vivente è relazionale, emotiva, energetica, interattiva e complessa. La chiave della cura, di conseguenza, non può che essere quella di uno scambio significativamente empatico. Le tecniche per una  comunicazione efficace, assertiva, capace di  favorire la compliance  non sono annoverate come materia di insegnamento nei percorsi universitari della formazione dei medici. Come se il saper persuadere il paziente nell’osservare e aderire alle terapie indicate fosse una competenza opzionale, o il saper comunicare in maniera rassicurante una diagnosi severa fosse naturale per tutti, oppure come se la gestione delle relazioni familiari del paziente  non fosse un aspetto rilevante della sua cura. Conoscere le leggi che governano lo scambio, imparare a comunicare in maniera efficace, essere consapevoli del proprio stile comunicativo mettono nella condizione di approcciarsi secondo modalità “gestite” e non improvvisate. Le parole sono farmaci, pacchetti energetici in grado di modificare gli organismi che impattano: sono le emozioni e la loro sapiente gestione a costituire i fattori più potenti della terapia. In tutte le professioni di aiuto, ciò che l’operatore “sente” influenza il momento dell’intervento tecnico e non rimane confinato alla sua vita intrapsichica, riverberandosi sull’andamento concreto dell’incontro con paziente e cliente. Le emozioni dei professionisti impattano la scelta delle indagini cliniche per la diagnosi, la formulazione delle ipotesi diagnostiche, la comunicazione e la relazione con il proprietario, le emozioni di tutti gli attori coinvolti ed il clima della struttura. Non è poco e ce lo dice la scienza: il premio Nobel per la medicina Eric Kandel sottolinea come “se l’apprendimento, la relazione terapeutica finalizzata al processo di cambiamento ha effetti forti sulla struttura neurochimica del cervello, ogni medico dovrà considerare le conseguenze per intenzionem per effectum dei propri stili relazionali sulla vita sociale e intrapsichica dei suoi pazienti, che consideri o no la psicoterapia uno strumento clinico efficace, proprio come quando prescrive un farmaco”. Il pensiero crea: l’emozione, l’intenzione, l’energia emozionale creano la realtà e la parola può avere profondissimi effetti curativi oppure nuocere gravemente alla salute. La sciatteria, l’incapacità di accogliere e di sorridere, la freddezza e la meccanicità, la mancanza di ascolto e comprensione, l’anonimato e l’inettitudine al  consiglio creeranno un danno enorme. L’improvvisazione, l’imparare sulla propria pelle, fanno male anche al clinico, lo espongono al burn-out, la malattia professionale più insidiosa delle helping profession.

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Questa visione riposa su una concezione della medicina che conserva l’antico ricordo della sua nascita, in un orizzonte di riferimento e di significato autenticamente olistico, che vedeva l’essere umano intrecciato al cosmo, e considerava il microcosmo come riflesso del macrocosmo. Gli albori dell’arte medica la vedono saldata alla pratica religiosa, dove ogni atto medico è in realtà un atto sacro: nel termine “salute” si cela la parola “santo” in un modello interpretativo ed operativo dove recuperare il benessere significava donare integrità ed armonia fra i diversi aspetti dell’individuo (materiale, emotivo e spirituale), fra l’individuo ed il suo ambiente e fra l’individuo ed il soprannaturale. La guarigione avviene se e quando si ripristina la comunicazione, il ponte, il legame, fra le diverse dimensioni all’interno del singolo. E’ nota la “fatica” che in epoca attuale la medicina sta facendo per recuperare questa sua vocazione olistica ed umanistica. Alla medicina veterinaria spetta un analogo percorso, nella consapevolezza del legame anche emotivo fra il pet ed il cliente e nella certezza di dover imparare a gestire le dinamiche relazionali con i proprietari se si vuole assicurare il successo professionale (ed economico). E non è estranea alla veterinaria l’idea che un malanno del pet derivi da problematiche emotivo-affettive (che si riflettono nello stile di vita che si divide con l’animale, nei comportamenti e nelle condotte verso di lui, nelle emozioni che si scambiano) della diade proprietario-pet, quindi la psicologia del compagno dell’animale va integrata nell’osservazione del paziente per costruire unprocesso diagnostico e poi terapeutico.

Parole e farmaci hanno stessi effetti e stessa azione, agiscono sui medesimi circuiti neurofisiologici ed influenzano il corpo e lo stato mentale di chi le ascolta. Disponiamo di una complessa farmacia interna governata dallo scambio interpersonale che si è evoluta a partire dalla preistoria affinché la relazione potesse “curare” i membri della comunità e vederli più adattivi, ma visto che nel corso dell’evoluzione sono nate prima le parole, e poi i farmaci!, è più corretto dire che i farmaci attivano gli stessi meccanismi delle parole. Gli effetti? Studi di laboratorio registrano la diminuzione dell’ansia e del dolore, attivazione aree della ricompensa e del piacere con un potente effetto antidolorifico (oppioidi endogeni o endorfine, dopamina) ma anche l’aumento delle prestazioni fisiche. Se il farmaco è somministrato non associato alla parola perde molta della sua efficacia.

La parola crea e la parola può distruggere. Un medico che non si conosce, non è padrone di sé, delle proprie emozioni, non governa reazioni ed atteggiamenti, non si prende cura delle emozioni che infonde nella pratica va considerato un cattivo medico. Un dispensatore di malessere e malattia. Il nome di Medea racconta una complessa e ambivalente vocazione. Il destino assegnato dall’etimologia la vuole donna che “escogita”, “trama”, secondo la costrizione del verbo greco “médomai”; eppure lo stesso verbo declina i significati della cura, della protezione, della custodia, e ci costringe a volgere il pensiero a una semantica in cui “Medea” e “medicina” si appellano a un archetipo comune. Medea, l’arcaica maga chiaroveggente, la sapiente dalle eccezionali qualità spirituali, conoscitrice esperta delle erbe e degli astri, sacerdotessa antica dai poteri sovrannaturali di Artemide ed Ecate. Il suo calderone rappresenta i principi di trasformazione e rigenerazione, i serpenti che la accompagnano, animali sacri alla Dea Madre, rilanciano il medesimo significato: strega sapiente, possiede la capacità di donare la salute quanto di amministrare la morte. La medicina governa insomma l’equilibrio fra gli opposti, in esso si cela il segreto della salute: nessun medico, che voglia dirsi tale, può dunque concedersi di ignorare il potenziale distruttivo e malevolo di cui è portatore.

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Barbara Alessio
Psicologa, Psicoterapeuta, Psicodiagnosta, Master di II° livello in Bioetica è Responsabile del Servizio di Psicologia e Psicodiagnosi della Casa di Cura per malattie neuropsichiatriche “Villa di Salute” di Trofarello (TO). Riceve in studio privato a Torino.
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