Ansia? Molte persone ne soffrono, ma non tutti riescono a scorgere come alla base di questo disturbo e dei sintomi che procura (alcuni a carattere psicologico ma altri a livello fisico) ci siano alcuni modelli educativi che abbiamo maturato nella nostra infanzia. che abbiamo inflazionato e… ci sono, per così dire, scappati di mano. Sei una perfezionista? Non sei mai contenta dei risultati che ottieni? Fai fatica a concederti riposo? Non riesci ad andare a dormire senza lavare i piatti e lasciare la cucina immacolata? Non permetti a nessuno di stendere perché nessuno lo fa bene come te? Se non è tutto perfetto ti senti tremendamente in colpa? Ti sembrerà strano ma sono tutti atteggiamenti che consumano le tue energie e.. ti ammalano. Sono modalità frutto di un’impostazione ipercritica verso sé stesse, che scambia il mezzo con il fine, facendo diventare la “ragione di vita” quei comportamenti che invece dovrebbero essere il mezzo attraverso il quale ci prepariamo una vita comoda e sicura. Ecco che il tempo libero viene saturato completamente dalle pulizie di casa, gatte meticolosamente ogni giorno, facendo lavatrici che contengono in realtà indumenti puliti, facendo diventare la casa una sorta di museo, che deve rimanere lindo e intoccabile. Un atteggiamento, questo, che diventa uno stile di vita, faticoso non solo per la persona ma anche per chi vive con lei. E che non di rado sfocia in rituali compulsivi (controllare innumerevoli volte di avere chiuso il gas,  verificare ossessivamente di avere spento le luci o chiuso la porta di casa etc). Lo chiamiamo perfezionismo ma… non è affatto un valore: è infatti un modus vivendi che disperde le energie, crea sempre più ansia (nessun controllo placa e i rituali per tentare di tranquillizzarsi aumentano sempre di più), inaridisce lo spirito perché non lascia più spazio a ciò che veramente ci piace e ci interessa.

 

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Ci sentiamo ripetere fin da piccole che dobbiamo dare il massimo, essere ubbidienti e fare le cose per bene. Che prima viene il dovere e poi il piacere. Tutti insegnamenti di per sé validissimi che però nella nostra cultura vengono declinati al femminile come istigazione all’abnegazione! Bisogna saper fare tutto e bisogna farlo alla perfezione. Senza mollare nulla, senza delegare niente: sempre aggiungendo nuovi impegni alla lista di quelli già presi. Siamo entrate a pieno diritto nel variegato mondo del lavoro e delle professioni ma niente abbiamo mollato delle incombenze domestiche, nel mito infausto tutto italiano che vede nell’ordine perfetto della dimora il vero valore della vera donna. Dobbiamo essere brave, distinguerci, essere perfette ed avere case perfette. Abbiamo ritmi di lavoro pari a quegli degli uomini ma incastriamo strenuamente tutti gli impegni dei figli di cui ci occupiamo in prima persona, la spesa, la preparazione dei 5 pasti per tutti quanti e pure tutte le faccende di casa. In questo delirio di onnipotenza, i dettagli minuscoli hanno la stessa importanza di quelli maggiori e tutte corriamo forsennatamente inseguite da un implacabile giudice interiore, che non tace mai e ci spinge a consumare tutte le nostre energie nei “doveri”. E nei confronti di tutta la famiglia. Con il risultato di perdere di vista completamente noi stesse. E di ammalarci.

Ti riconosci? In questo modello, siamo guerriere che lottano contro l’orologio e che corrono a perdifiato. E vivono costantemente nell’ansia. Sempre in corsa ed in affanno, sempre impegnate a dare di più ma in realtà mai soddisfatte di nulla, disturbate dal rovello che in realtà ciò che fanno non è abbastanza. Perché non si è riuscite a fare “tutto quello che si doveva”. La verità è che siamo noi stesse ad essere incontentabili, ad essere implacabili, a non concederci mai nulla. Schiave di un’educazione vetusta, figlia del patriarcato, e di un’immagine ideale di sé esagerata e disumana. 

Il perfezionismo è imparentato con la “doverizzazione”, un meccanismo irrazionale che vede noi stesse e la realtà non in modo obiettivo ma alla luce di aspettative e richieste appunto non razionali. Pensieri che ci bloccano perché ci spingono ad agire non per rispondere in maniera adattiva e funzionale alle esigenze del quotidiano ma piuttosto per assecondare convinzioni automatiche, assolutistiche che risiedono dentro di noi e nulla hanno a che vedere con l’ambiente. Il dover essere perfetta, il fare sempre tutto al meglio, non tralasciando nulla secondo scalette ove tutto è urgente e tutto sullo stesso piano ovvero non prorogabile. Le mete sono sempre più elevate, l’ansia è a mille, la compulsività regna sovrana.

Cosa si nasconde sotto tutto questo? Alla base stagna un’immagine di sé molto fragile, un’insicurezza ostinata, il bisogno di riconoscimento dall’esterno, di approvazione, di raggiungere uno standard di perfezione per essere al riparo da fantomatiche accuse di pigrizia, incapacità, sporcizia, sciatteria. Dentro di noi riposa un modello irraggiungibile, nutrito da un senso di onnipotenza che ci spinge ad essere più realisti del re, le migliori, le inappuntabili e le impeccabili. Sopra tutte. Perfette. Un modello disumano che… attenzione, oggi siamo noi ad imporci. Raccontandoci che è necessario. Non è vero. Non lo è. Forse abbiamo avuto un’educazione rigida, ma anche fosse, siamo adulti e gestiamo noi il nostro potere personale. O meglio: dovremmo gestirlo, abbiamo la responsabilità di gestirlo. Non dobbiamo compiacere uno sguardo esterno che finalmente attesti che abbiamo valore: la nostra vita è nelle nostre mani, noi abbiamo il potere di scandire le nostre giornate, le attività. Nessuno dall’esterno ci darà il voto. Valiamo. Siamo già abbastanza. Chiediamoci perché abbiamo bisogno di sentirci perfette: agli occhi di chi? A quale sguardo ancora, chiediamo con ansia approvazione? Perché dobbiamo eccellere, sentirci così superiori? Di chi temiamo ancora il giudizio? Spesso si tratta di modelli infantili, di un antico bisogno di amore che si cercava di soddisfare cercando di compiacere gli adulti, di garantirsene l’approvazione e l’attenzione, per gratificare un bisogno di riconoscimento che si sentiva altrimenti negato. bene: oggi  dobbiamo rispondere solo a noi stesse: con gentilezza possiamo chiederci di fare le cose per bene, senza dissanguarci, senza essere impietose e dannatamente esigenti.

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Le donne che sono invischiate e sono prigioniere di questi atteggiamenti e comportamenti corrono il rischio di essere perennemente insoddisfatte. Soprattutto, non hanno mai tempo per sé. Non hanno tempo per prendersi cura delle proprie vocazioni, delle passioni, per curare la propria salute. E di solito sono in sovrappeso. Eh sì. Sembrerà strano: ma è un modo bulimico di vivere ed il modello alimentare è coerente a quello stile. Tutto si fagocita, si corre, non si tira mai il fiato. Non c’è buon ritmo, non c’è equilibrio non c’è spazio per ascoltarsi, per respirare, per nutrirsi di emozioni buone e di pause. Non si trova i tempo per meditare, per fare la spesa con cura, per preparare cibi freschi e leggeri, per fare attività fisica. E non si è mai soddisfatte perché non è mai abbastanza. Ma anche perché, nel frattempo, la vita, la soddisfazione per ciò che si è e si fa, ci scivola via dalle mani. Nel tentativo di compiacere lo sguardo di chi ci sta intorno, perdiamo il contatto con il nostro nucleo profondo, con la nostra voce interiore., unica ed originale.

Cosa ne deriva? Una cronica incapacità di apprezzarsi,  attanagliate dalla sgradevole sensazione di essere inadatte, persuase di essere mediocri. Un ideale di perfezione irraggiungibile ingaggia una guerra senza tregua nei confronti di se stesse e del mondo. E finisce per alimentare un’ansia spaventosa ma anche una disistima robusta, non di rado, il bisogno di punirsi oppure di consolarsi, indovinate un po’, proprio col cibo. Una bella abbuffata è spesso il modo in cui si governa l’umore. Queste condotte, insomma, radicalizzano lo schema dello yo-yo: ci si abbuffa di impegni e ci si ipercontrolla senza concedersi tregue (ipercriticandosi e chiedendosi l’impossibile) e poi si cede di schianto perché la pressione interna è diventata intollerabile. Per poi sentirsi in colpa e spingere l’acceleratore nuovamente sulla privazione e la restrizione, secondo l’ideale perfezionista.

Ma i danni non si fermano a questo. L’accollarsi ogni onere, ogni compito, ogni scadenza inchioda il resto della famiglia alla deresponsabilizzazione: a nessuno, insomma, viene mai chiesto di fare la propria parte. Ma il malumore circola, i borbotti e magari qualche scenata, che non sortiscono effetti pratici ma avvelenano gli umori. Al clima della famiglia non giova questo sistema. E nemmeno alla coppia…

Il perfezionismo, insomma, è nemico della salute e del benessere psicofisico, è nemico della dieta ma lo è anche di qualunque percorso di cura e di guarigione. La mentalità da guerriera è dannosa. Questa rigidità non ha nulla dell’equilibrio, dell’armonia, del buon ritmo e della calma che invece sono gli ingredienti fondamentali dello stare bene ed in forma. ma anche del fare bene le cose. Se impieghiamo sempre pù risorse di quelle necessarie a portare a compimento le nostre attività, se ricontrolliamo mille volte i risultati, se puliamo sul pulito e siamo devastate dal bisogno di perfezione dobbiamo riconoscere che qualcosa si è inceppato dentro di noi. Portare pesi eccessivi (fisici, emotivi, mentali ed affettivi)  essere incapaci di delegare, vicariare le funzioni e le azioni degli altri componenti della famiglia (ad esempio rifare il letto ai figli, pulire le loro stanze quando sono già giovani adulti, non dividere i compiti di rigoverno degli spazi e delle piccole incombenze che permettono alla famiglia di andare avanti) inflazionando un mal riposto “sacrificio di sé” porta a logorare la nostra persona e a farci ammalare. Si tratta di un chiedersi troppo ma anche di un chiedersi a sproposito: perché è di danno a sé ma anche agli altri, che devono poter imparare a provvedere a sé stessi, ad essere autonomi e a portare il loro contributo alla vita della famiglia. Questo stile ci allontana sempre di più dal nucleo di noi stessi: ci fa perdere la fedeltà a noi stesse, ingabbiandoci in sterili ripetizioni alle quali demandiamo infruttuosamente la funzione  di rassicurarci, di farci sentire finalmente “a posto”. Mancando clamorosamente il bersaglio.

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La soluzione? Rivedere i nostri schemi mentali, investire sul valore personale, imparare a guardarci finalmente con maggiore considerazione e gratitudine. Liberare spazio, tempo, energie per vivere. Respirare e cominciare a guardare a ciò che si fa alla luce della domanda “davvero è utile a me o agli altri?”. Davvero è necessaria una tale profusione di energie? O sono io che me la impongo? Che sono schiava dell’idea che “devo farlo”? Non è ora che mi legittimi alcune energie per me stessa? Per la mia salute? Per coltivare la mia creatività? Per godere della vita, che è nel qui ed ora. Ecco la chiave!!! e la psicoterapia può aiutarmi a cambiare finalmente passo.

Barbara Alessio
Psicologa, Psicoterapeuta, Psicodiagnosta, Master di II° livello in Bioetica è Responsabile del Servizio di Psicologia e Psicodiagnosi della Casa di Cura per malattie neuropsichiatriche “Villa di Salute” di Trofarello (TO). Riceve in studio privato a Torino.
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