ANCHE LE MADRI VANNO IN BURN-OUT

Che bello, finalmente, diventare madri. Spesso è un’esperienza che sogniamo per lungo tempo, che magari dobbiamo rimandare per impegni di lavoro e/studio, o che arriva tardi nella vita perché non trovavamo il compagno giusto. Qualche volta la gravidanza si fa attendere, ci crea ansia perché non arriva subito. Insomma: dopo averla tanto agognata, infine la maternità arriva. Ma nessuno ci aveva preparato a quanto potesse essere emotivamente e fisicamente faticosa. Che può condurre al burn-out., ovvero ad una sindrome complessa che assomma sintomi fisici a disturbi psicologici, tra i quali annoveriamo vissuti ansiosi, depressivi e scatti di rabbia.

Da ogni parte si strombazza infatti una retorica falsa e pericolosa che esalta la felicità perfetta di diventare “Madre”, un cambiamento di ruolo che impone un sorriso perpetuo ed una soddisfazione infrangibile. Priva di dubbi, stanchezze, paure, rifiuti. Nessuno ci prepara al vero e proprio cambiamento di stato che invece ci attende: e che innanzi tutto prevede un forte isolamento per moltissime madri, lontane dalla famiglia di origine e momentaneamente allontanate da ritmi e dagli impegni soliti, dal giro di amicizie che fino a quel momento hanno rappresentato conforto e sostegno. In una società a forte impronta maschilista come la nostra, i padri fanno ancora molta fatica a trovare un buon incastro nel nuovo ritmo domestico. Spesso non modificano per niente la routine extrafamigliare (lavoro, sport, amicizie, hobbyes), sono fuori casa per la maggior parte della giornata, non sanno bene come muoversi né nelle faccende domestiche né nei confronti dei neonati e dei bimbi molto piccoli. La donna si sente sola: ma di fatto, lo è.

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Non è facile esprimere le emozioni di questo momento della vita: l’autentica felicità della nascita e l’enorme senso di colpa nell’avvertire momenti di vero rifiuto, il timore del giudizio e della riprovazione, la vergogna nel sentire l’amore per il bimbo inquinato dalla rabbia, lo strazio di avere la sensazione di non farcela si mischiano e si alternano nell’animo della donna. Creando confusione e lasciando spazio, lentamente, a vissuti depressivi. Paradossalmente la consapevolezza ormai largamente condivisa dell’alta incidenza della “depressione post-partum”, ovvero una condizione emotiva molto particolare al puerperio, ha relegato il profondo cambiamento psicologico ed esistenziale della genitorialità a pura “questione di ormoni” (retorica che già impera a proposito del ciclo femminile). Tale spiegazione, semplicistica e fuorviante, impone la semplice attesa di qualche settimana in attesa che la fisiologia faccia il suo corso. Una spiegazione che elimina ogni problematicità, ogni interrogativo, ogni attenzione alla persona.  Invece di offrire ascolto e comprensione, invece di coinvolgere il partner e la famiglia allargata nella ricerca dell’ambiente emotivo e concreto più favorevole a quella donna e a quella coppia madre-bambino. E’ possibile invece che niente si risolva col passare del tempo: anzi, che all’inizio la donna stia bene sia tranquilla per andare invece in crisi lentamente, col passare dei mesi.  Perché le aspettative che siamo indotte ad avere circa “l’essere madre” sono fortemente influenzate dalla cultura e dal consumismo, che propongono immagini appiattite di donne sorridenti e sicure, efficienti, iperorganizzate, informate: perfette. E’ con quell’ideale falso ma molto seducente che ci confrontiamo: uscendone sempre perdenti. La stanchezza ma anche la rabbia per non poter comunicare quello che si prova, il profondo senso di solitudine e di isolamento e la necessità di essere completamente a disposizione del neonato producono uno stato di irritazione crescente. Che può sfociare in un conflitto nella coppia, che il partner non comprende e sovente male interpreta: non è infatti tutto e solo colpa degli ormoni. Certo nemmeno la donna riesce a comprendersi, non sa con chi parlarne, non sa come uscirne: pertanto le riesce difficile chiedere con calma aiuto al partner. Se si innesca una spirale di accuse, recriminazioni e diffidenze, se volano battute sarcastiche e ci si allontana, ovviamente tutto questo non fa null’altro che accrescere l’angoscia della madre, il suo sentirsi inadeguata, disperata. Una cattiva madre. Soprattutto perché si sente irritata, a volte è sgarbata, ha persino voglia di scappare; può avere la paura di non voler davvero bene al suo bambino. Cui può aggiungersi la convinzione (o l’accusa da parte del partner) di essere una cattiva compagna, perché si è diventate cupe e scostanti, prive di gioia, incapaci di dedicare attenzione anche a lui, spente sotto le lenzuola. Le donne si spaventano delle emozioni forti che provano: ma è raro che si confidino. Le madri perfette non perdono mai la calma, non strattonano i bimbi, non urlano, non si sentono cariche di rabbia. Meglio tacere: passerà

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Naturalmente ci sono possono essere particolari condizioni della famiglia a peggiorare il quadro: difficoltà economiche, patologie,  lutti, altri figli, convivenza con famigliari anziani, la pressione dell’ambiente di lavoro cui si dovrà tornare. E condizioni particolari relative alla personalità della donna: traumi pregressi (tra i quali vanno annoverati gli aborti, le rotture sentimentali e/o i divorzi, storie infantili o adolescenziali lacerate da aggressività e/o trascuratezza), una certa labilità emotiva ovvero la difficoltà a gestire emozioni spiacevoli e a far fronte alle frustrazioni, l’immaturità o l’assoluta mancanza di esperienza di relazione con neonati. Ed ovviamente la scelta della maternità più per compiacenza al partner ed ai doveri sociali che per un autentico desiderio interiore.

Una miscela emotiva esplosiva, che può sfociare in una sindrome particolare: il BURN-OUT. Una condizione psicofisiologica particolare, oggi molto studiata in ambito lavorativo, ma pressoché inascoltata in quello famigliare, tanto che le ricerche risalgono al recentissimo 2017. Eppure esiste anche un burn-out delle madri, un burn-out dei genitori. Di cosa si tratta? Di una sindrome complessa e multifattoriale che ha dei risvolti psicologici (ansia, vissuti depressivi, insonnia, difficoltà di concentrazione, rabbia ed aggressività), dei disturbi fisici (cefalea, disturbi dell’apparato gastroenterico, ipertensione) e può associarsi a veri e propri comportamenti problematici come l’abuso di farmaci e cibo. 

Non è facile per le donne trovare aiuto e conforto quando si confrontano raccontando le difficoltà che vivono: il senso di vergogna e la frustrazione, la delusione che provano verso se stesse le porta a chiudersi, a cercare di resistere, a minimizzare. Perdono così l’occasione di capirsi, di fare ordine alle emozioni dentro di sé, di perdonarsi e rassicurarsi.  Perché ciò che serve al bambino per sviluppare una personalità armoniosa e sicura, è la presenza di una madre e di genitori sufficientemente protettivi ed accudenti, capaci di interpretare i suoi bisogni e di soddisfarli, di rassicurarlo e motivarlo all’esplorazione dell’ambiente. Per fortuna non gli servono madri perfette: altrimenti saremmo già estinti!!! Se sei madre e vivi i disagi che abbiamo descritto significa che sei stanca, che hai bisogno di supporto. Non puoi fare tutto da sola e non ci puoi essere sempre. Devi occuparti anche di te stessa: perché nel gioco di equilibri qualcosa si è spostato e si impone una riflessione per capire come ritrovare serenità. A volta un piccolo percorso psicoterapeutico individuale e/o di coppia risolve piuttosto velocemente il blocco. Le mamme hanno uno spazio di ascolto, sostegno, consiglio: impareranno a gestire il senso di colpa e la frustrazione, impareranno a chiedere aiuto. Ed i padri sono accompagnati ad integrarsi nella routine concreta ma anche affettiva della famiglia. Per essere tutti più soddisfatti e tranquilli.

 

 

Barbara Alessio
Psicologa, Psicoterapeuta, Psicodiagnosta, Master di II° livello in Bioetica è Responsabile del Servizio di Psicologia e Psicodiagnosi della Casa di Cura per malattie neuropsichiatriche “Villa di Salute” di Trofarello (TO). Riceve in studio privato a Torino.
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