Non ci mancano le informazioni sulla salute, conosciamo gli allarmi relativi ai rischi di una cattiva alimentazione e di una dieta sbilanciata.

Eppure, moltissime persone combattono con il loro comportamento alimentare e con il loro peso, spesso per tutta la vita….e…. anche se spesso riescono a perdere chili, a trovare “un peso ideale”, pochissimi riescono a mantenerlo. Nel migliore dei casi la loro “lotta” col cibo dura tutta la vita; più spesso nella pratica clinica si osserva un successivo aumento di peso, molto rapido, qualche volta in grado di superare il peso precedente la dieta.

PERCHE’ LE DIETE NON FUNZIONANO?

 

dieta

 

Cosa sappiamo noi del corpo? Sappiamo cos’è il corpo? È soltanto un meccanismo di combustione, che assimila ciò che gli serve a carburare ed elimina le scorie? O piuttosto un sofisticato sistema psicofisico, strutturato a rete. E ci rendiamo conto di cosa è il cibo? Di cosa rappresenta per noi?

Quando qualcuno ci chiede aiuto rispetto al peso, alla forma fisica, in realtà porta con sé moltissimi interrogativi che non si limitano a calorie e bilancia. Porta con sé abitudini profondamente nella sua psicologia, significati stratificati che riguardano il nutrirsi, il peso del transgenerazionale sulla scelta dei cibi, sulla quantità, sulla distribuzione nella giornata. Porta il peso della propria storia personale.

Essere dipendenti dal cibo non è un comportamento che riguarda esclusivamente il fisico. Per ciascuno di noi le valenze dell’alimentazione sono radicate, oltre che su complessi valori culturali, sulle consuetudini della propria famiglia e sulla carica emotiva che ne deriva. A partire dalla relazione madre-bambino.

Il cibo viene caricato di significati fin dall’età neonatale. Cibo e amore passano immediatamente, fin dall’inizio della nostra vita, dallo stesso gesto. L’impronta che si crea, la modalità che riguarda l’assunzione di cibo (che non è solo latte ma è attenzione, capacità di leggere i nostri bisogni e soddisfarli nel momento giusto, cura, gentilezza, delicatezza, sicurezza) diventa la modalità con cui ci rapportiamo con il sé e con il mondo. l’Alimentazione non è un singolo atto ma un processo: materiale, psicologico e spirituale. E la guarigione non può riguardare allora la risoluzione del sintomo ma la trasformazione del rapporto con il sé e con gli altri.

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La medicina prende in considerazione solo il versante meramente somatico dell’individuo, il biologico, il fisiopatologico. Si occupa solo del PESO: nella sua visione meccanicistica, prende in esame il SOVRAPPESO, cogliendolo certo nella sua essenza di sintomo, ma combattendolo, senza, dunque, occuparsi per esempio della sua valenza simbolica, del senso che riveste nell’economia globale del funzionamento della persona. Che non è un corpo in sovrappeso ma una globalità psicosomatica con un funzionamento complesso: gli studi di pisco-neuro-endocrino-immunologia ci dimostrano che il nostro corpo non è solo un “tempio”, non è solo una struttura fisica ma è la sede di strutture interconnesse impregnate di coscienza.

Quel sintomo insomma, il disordine alimentare ed la difficoltà a controllare il peso, rappresentano l’elemento più visibile di sofferenze e difficoltà ben più profonde, spesso antiche, non immediatamente visibili e concretamente misurabili. Che ne stanno all’origine, però. Che vanno comprese, non combattute: IL SINTOMO È UNA PREZIOSA INDICAZIONE DA SEGUIRE, CUI DEDICARE TUTTA LA NOSTRA ATTENZIONE. Va compreso,  perché è espressione della realtà psichica, segnala cosa ci manca, il principio psichico non in equilibrio. È un’eruzione non mediata dell’inconscio: un contenuto psichico rifiutato, letteralmente “rigettato” sul corpo.

Il sintomo ha allora una valenza sostitutiva e rappresentazionale. Analogamente ai sogni e agli atti mancati, i sintomi vanno guardati non solo come dati di fatto, da eliminare al più presto, ma vanno anche intesi come portatori di messaggi sconosciuti e altrimenti inaccessibili, che vanno decifrati. I SINTOMI SONO SEMPRE SINCERI, IL CORPO NON MENTE MAI…

E sarà su quello che bisognerà lavorare, sarà quella sofferenza a dover essere trasformata, altrimenti il sintomo continuerà a generarsi. Terminata la dieta coatta, la forza psichica sottostante (la difesa) tornerà veemente a ripresentarsi. Inoltre la dieta rappresenta una frattura del senso di sicurezza, è un momento molto stressante. La perdita della difesa (la sovra-alimentazione, la ricerca di certi cibi, tipicamente morbidi e dolci) porta in “sovrappeso” tutte le problematiche affettive che il sintomo condensava nel corpo, con un aumento del malessere e della sofferenza della persona, già provata dal cambio di abitudini alimentari, dalle reazioni causate dal cambio di regime alimentare, dalle resistenza che il modello interno oppone, dai fallimenti che qua e là sperimenta nella propria volontà.

Il sintomo non può essere risolto solo nel corpo. Ecco perché le diete non funzionano! Intervengono solo su quell’aspetto del problema, rimangono in superficie, senza accompagnare ad alcuna comprensione di sé, ad alcun cambiamento autentico. Si limitano a “pre-scrivere”.

I disordini alimentari richiedono un altro tipo di intervento: accanto ad un esame personalizzato delle condizioni di salute, impongono che il biologo nutrizionista lavori in stretta interrelazione con lo psicoterapeuta, alla ricerca di un regime alimentare (alimenti, ritmi, abitudini, riti) che tenga conto del preciso funzionamento psichico della persona, delle sue resistenze interne, dei motivi per cui ha strutturato certe abitudini alimentari, per cui predilige alcuni cibi. La dieta è più dell’insieme di cibi di cui ci si nutre: riguarda il modo in cui si cucina e si mangia, il ritmo, gli orari, i luoghi. E, soprattutto, riguarda spesso la compensazione di bisogni interiori. Il cibo è un sostitutivo del piacere non vissuto, è collegato alla disistima, all’autopunizione, al bisogno di consolarsi. Se non si comprendono e se non si trova il modo di ascoltare e soddisfare i bisogni alla base, il cibo continuerà a rimanere un formidabile meccanismo di compensazione e surrogazione: perfetto perché nel pieno controllo dell’individuo, che in caso di “bisogno” (ansia, paura, rabbia, vergogna, agitazione, senso di abbandono e solitudine) può ricorrervi prontamente traendone un sollievo. Che poi sconta con aumenti di peso e con disturbi di vario genere collegati alla cattiva alimentazione.

Fare solo una dieta non serve: occorre imparare ad occuparsi di sé, a nutrirsi. Altrimenti il modello alimentare sottostante non viene intaccato. Ricordando che per la medicina cinese sono ben tre gli alimenti di cui ci nutriamo: il cibo, il respiro e le emozioni. Ecco perché per imparare a controllare il peso e a stare in buona forma fisica devo cercare e trovare percorsi che prevedano un accompagnamento ed un’educazione olistica. La Mindful Eating è lo strumento giusto per uscire dalla battaglia col proprio peso corporeo. Non si tratta di limitarsi a ciò che si dovrebbe o non si dovrebbe mangiare, piuttosto di imparare a nutrirsi, sapendo il cosa (non solo cibo!) ed il come (la cucina, l’apparecchiare, gli atteggiamenti del mangiare), dopo essere stati accompagnati a riconoscere e ad occuparsi correttamente di tutti i bisogni della persona, biologici ed affettivi.

Almadea offre percorsi personalizzati seguiti dalla biologa nutrizionista e dalla psicoterapeuta, in un programma integrato di dieta ed apprendimento di tecniche tecniche meditative e di buone abitudini: per la tavola e per la vita.

Barbara Alessio
Psicologa, Psicoterapeuta, Psicodiagnosta, Master di II° livello in Bioetica è Responsabile del Servizio di Psicologia e Psicodiagnosi della Casa di Cura per malattie neuropsichiatriche “Villa di Salute” di Trofarello (TO). Riceve in studio privato a Torino.
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